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"Un classico non ha mai finito di dire quel che ha da dire", Italo Calvino

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L'intramontabile, unico, irripetibile

Fedor Dostoevskij 
DELITTO E CASTIGO
Mondadori, 2021 (edizione più recente in commercio)
pp. 756, € 15
 
Ogni libro che leggiamo (se è veramente un buon libro e soprattutto se è un classico) ci resta dentro e viene riletto più volte nel corso della vita. Questo ci sembra possa accadere in modo particolare per Delitto e castigo. Almeno, a noi è accaduto così.
Pietroburgo, seconda metà dell’Ottocento.
Una dovizia di caratteri umani: finanzieri e proletari, avvocati e usurai, nobili decaduti e studenti, prostitute e ubriachi.
Una schiera di personaggi: da Raskol’nikov – lo studente anarchico – a Sonia, da Pofirij Petrovic – il giudice psicologo – e Marmeladov – il consigliere titolare – a Svidrigailov, crudele, diabolico. Una molteplicità di temi: l’alcolismo, il degrado, le situazioni psicologiche difficili di cui Dostoevskij ci dà una sfaccettatura complessa e sconvolgente; dal sublime all’abiezione, dall’abulia e smemoratezza alla coscienza lucida di sé e del proprio agire.
“…Ricordò tutto, in un solo istante improvvisamente, ricordò tutto”: l’accetta luccicante trovata in portineria, la vecchia usuraia colpita a morte, il sangue… In non più di dieci pagine ci viene lucidamente descritto il delitto premeditato e nello stesso tempo non voluto, indice della complessità dell’animo umano.
Il vuoto, il buio, i conflitti tra idee e sentimenti hanno un’attrazione profonda in Raskol’nikov e costituiscono la tela su cui è costruito tutto il romanzo: gli aspetti demoniaci possono albergare nell’uomo, ma anche il riscatto, la nemesi.
Avendo tra le mani il Vangelo, dono di Sonia, in carcere il protagonista è cosciente che per lui sta incominciando una nuova storia, la storia del graduale rinnovarsi dell’uomo.
Questo vorremmo per coloro che, troppo sicuri di sé, trasformano le idee in sparatorie, distruzione e auto-distruzione, e che ci vengono presentati da un'interminabile vacua schiera di ripetitivi parlatori in tanti pletorici dibattiti televisivi insieme a tante "viste" e riviste.                                                                                                               
Serena Bianchi

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Storie di emancipazione

Betty Smith
UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN
Neri Pozza, 2020 nuova edizione
pp. 576, € 13,50 
 
Ancor oggi attuale e degno di nota questo romanzo della newyorkese Betty Smith (pseudonimo, 1886-1972), peraltro prolifica autrice di pezzi teatrali; pubblicato in America nel ’43 e ambientato agli inizi del Novecento, punta l’obiettivo sulla famiglia Nolan, irlandese di seconda generazione, e conquista il cuore di chi legge.
La primogenita Francie concentra in sé la voglia di riscattarsi dalla miseria e dalla sofferenza, compiendo un percorso molto articolato e a lieto fine. Nell’ambiente popoloso e folkloristico del quartiere di Brooklyn, dove la madre a 29 anni deve lavare i pavimenti per mantenere la famiglia compensando i precari guadagni del marito cameriere e ballerino troppo attaccato alla bottiglia, risaltano, nei tratti psicologici forti, la nonna e la zia Sissy (trasgressiva per il suo carattere “allegro” con gli uomini).
Il libro ha ancora molto da dire sui rapporti familiari, sul mondo del lavoro, sull’evoluzione psicologica dei ragazzi e della madre stessa, segnata troppo presto dalla vedovanza, sui problemi degli immigrati.
Ogni pagina sorprende il lettore adulto - forse piacerà più alle lettrici – per la ricchezza di dialoghi e di ritratti, di umanità e di desiderio di emancipazione, componendo un quadro d’epoca destinato a durare negli anni.
                                                                                                 Modi Brida
 "C’è un albero che cresce a Brooklyn.
 Alcuni lo chiamano l’Albero del Cielo.
Non ha importanza dove cade il suo seme:
ne nasce un albero che lotta
per raggiungere il cielo"